Clicktivism e couchtivism – Scheda 3

di Alessandra Carenzio

Si tratta di due termini inglesi che rendono bene lo stesso fenomeno o parte di esso: la partecipazione a basso impatto che, nei social, nelle piattaforme digitali e nei gruppi online, spesso si confonde con la partecipazione vera e propria. Facciamo un esempio: leggo nel mio profilo social un post convincente nel quale si chiede di sostenere un’associazione o una causa (i cani abbandonati, il gattile, i bambini che vivono uno svantaggio economico), metto mi piace, un cuore o qualsiasi altro sistema capace di manifestare il mio consenso. Siamo nel primo step della partecipazione, a impatto zero potremmo dire. Possiamo poi decidere di commentare e di condividere il post, sempre nei nostri spazi social: siamo ancora in un livello a basso impatto, anche se superiore al precedente. Inoltre, possiamo donare del denaro alla causa, ma ancora senza sporcarci le mani. In ultimo, possiamo costituire un piccolo gruppo per portare cibo al canile, organizzare corsi di rap o musica per i bambini, come un tempo di doposcuola per i compiti. Qui, chiaramente, l’investimento è maggiore.

Qual è il rischio? Il rischio è di pensare di aver preso parte a una campagna, di aver dato il proprio contributo, di aver partecipato solo per un like o una condivisione. Si tratta di un fenomeno chiamato couchtivism – “attivismo da divano” riferendosi al luogo dal quale i like prendono avvio, comodamente – o clicktivism, come modalità veloce di far sentire la propria voce attraverso un click, mettendo a tacere la coscienza.

Se ne parla nel libro Le virtù del digitale di Pier Cesare Rivoltella (Morcelliana, Brescia 2015), a partire dalla riflessione su come il dolore entri più facilmente nel nostro perimetro dello sguardo: «i media, proprio grazie all’eliminazione dell’impatto dello spazio, estendono a dismisura la nostra possibilità di essere informati sulla sofferenza degli altri, ben oltre i limiti di quel che cade immediatamente sotto la nostra esperienza: anche senza trovarci a passarvi materialmente di fronte, i media portano dentro il nostro mondo di osservazione tendenzialmente tutto quello che accade su scala mondiale. La loro azione globalizzante funziona anche nel senso di una globalizzazione della nostra possibilità di conoscere le sofferenze altrui».

Questo discorso tocca vividamente la nostra partecipazione che rischia, come sostiene Rivoltella, di fermarsi nel primo gradino dell’indignazione e della commozione, senza fare altro. La Rete, in questo senso, facilita la partecipazione a basso impatto (o a “bassa definizione”), facendoci credere di prendere davvero parte a qualcosa solo perché un click dal divano ha marcato il nostro passaggio.